Immagini di me
Nel cammino del mondo dell’arte mi è spesso capitato di sentirmi in una dimensione quasi ultraterrena.
Nel mio lavoro ho cercato e cerco tuttora il giusto connubio tra la mia sensibilità e la forza dell’espressione come quella del movimento d’avanguardia del Die Brucke che molto ho amato, l’espressione di ciò che per me è bello e di ciò che non lo è. Ciò che non lo è come l’ambiguità e il dolore, che, nei volti delle mie opere, ad esempio, distorcono l’armonia della struttura anatomica, in una promiscuità del contrasto dei colori. Sono volti che incarnano un pensiero dicotomico: la dualità tra l’aspetto etero e soave, da una parte, e tutto ciò che spaventa e conturba dall’altra.
I fiori sono elemento presente nei miei dipinti, assolvendo anch’essi a due diverse funzionalità espressive e simboliche. C’è il fiore che è luce e quello che è tenebra, quello che protegge e fa rinascere e quello che avviluppa in un vortice di perdizione: quella “vanità” che sfugge al nostro controllo. Come fughe dalla realtà, cerco di donare una carica espressiva, sia alle ombre del dolore e del disagio, che ai colori entusiastici di una rinascita e ai bagliori di un risveglio. Corpi di donne o corpi dalle fattezze androgine danno le spalle al mondo, cercano riparo, chiudendosi alla vita.
Elementi della natura, che adornano le figure, da una parte ammaliano, ardenti come fiamma, dall’altra purificano, come neve. Uscire dall’incubo è possibile… attraverso l’arte, forse, lo è ancora di più.
Nel corso del tempo mi è capitato di fare un incontro speciale, quello con il mondo del Collage.
La tecnica del collage è come un frullatore mass-mediatico che attingendo dai media e dalla pubblicità, può ristabilire uno sguardo poetico e non passivo sulla comunicazione globale. Osservando le sfaccettature del reale e avvicinandole tra loro, il collage mette insieme immagini e miti preesistenti per creare un mito nuovo. Nel collage la tela o la tavola diventano lo schermo su cui proiettare i nostri fantasmi, le nostre paure, i nostri ricordi, ma anche desideri e sogni. Come un’opera surrealista dove si accostano scene reali e immaginarie. Nei miei collage mi sono dedicata alla figura femminile, evidenziandone l’identità complessa e frammentata, cercando di mettere in luce quell’oscillazione del meccanismo della sensibilità che può fissare l’attimo da cui dipendono la tristezza o l’euforia.
La donna è capace di sentire la difficoltà della vita e la sua corruttibilità, riuscendo a intercettare il passaggio a quella dimensione favolosa dove si estinguono le speranze più luminose e naufragano le nostre fragili certezze. Un passaggio fatto di coraggio, amore, forza e resistenza.
Nei miei Astratti prevale un istinto immediato e selvaggio. Quando accade che ciascuno di noi vede le cose in modo deformato, tutto ci si presenta come frastagliato, violento e anche minaccioso, in un dispendio quasi superfluo di emozione.
E così, i miei colori si esibiscono in una sinfonia libera e inedita, schizzando sulla tela come sotto la direzione pura dell’immaginazione e della casualità.
Francesca Pietropaolo